Le guerre peninsulari hanno il vantaggio di poter essere afferrate e soffocate per il collo, come si fa con una bottiglia, lasciandola esplodere da sola nel tentativo di contenere l’acqua del mare. O per lo meno, si direbbe che questa sia l’idea comunemente accettata nel suolo continentale e viscerale dell’Europa, come se fosse possibile recidere la nostra penisola all’altezza dei Pirenei, infilarci nella tasca dei pantaloni e spedirci nella direzione di marcia opposta a quella del continente, senza ritorno. E nulla di tutto ciò è una novità; tutto ha piuttosto un sapore di muffa e stantio, poltiglia che le mandibole degli stati vanno ruminando come carne vecchia, disgustosa, dura, di quella che si mastica e rimastica senza volerla inghiottire. Il lettore non si indisponga: il ragionamento si farà più comprensibile tra poco. Due anni fa mio nonno materno mi regalò un libro intitolato Cause della decadenza dei popoli peninsulari. Il libro, pubblicato nel 1971, è basato sul discorso che Antero de Quental aveva pronunciato un centinaio di anni prima, nel 1871, nell’ambito delle cosiddette Conferenze del Casinò organizzate dalla Generazione del ’70, o Gruppo del Cenacolo, della quale facevano parte, tra gli altri, scrittori ed intellettuali come Eça de Queiroz, Manuel de Arriaga e Teófilo Braga.
Anche le grandi scoperte transoceaniche meritarono, in una seconda Conferenza del Casinò, l’attacco di Antero. Non le scoperte in quanto epopea narrativa e inno nazionale, ma per l’uso che di queste venne fatto, e per quello che invece non si fece. Anche in questo caso, la cosa riguarda tanto i predecessori di Antero, quanto i nostri. Ma la cosa che più ci dobbiamo rimproverare nell’epoca delle grandi scoperte geografiche è la mancanza di una visione strategica e la miopia di non avere gettato le basi per un’industria. Per non aver lasciato, cioè, un segno tangibile di queste avventure, passate come il lancio di un razzo, meraviglioso nel boato e nelle scintille che si alzano nel cielo, ma assolutamente evanescente ed inutile, tanto da non poter essere considerato di un qualche giovamento. Questa fu l’esperienza delle grandi scoperte portoghesi e spagnole. Ma le scoperte non peccano solo per il fatto che, da esse, non è stato guadagnato nulla in termini di sviluppo. Esse, infatti, contribuirono pure a rendere ancora più barbaro e crudele il suo più grande alleato, il cattolicesimo; seminando il terrore dei gesuiti nelle varie colonie, portando alle popolazioni indigene, per dirla con Alvaro de Quental, questo «beneficio dell’Inquisizione» e a volte dello sterminio. Ed è proprio del massacro perpetrato nel tempo dal cattolicesimo, la responsabilità del fatto che non sia stato più possibile stabilire relazioni pacifiche e proficue tra colonizzati e o colonizzatori. Rapporti che vennero definitivamente compromessi fin dal momento in cui la croce iniziò a risplendere sulle magnifiche vele delle navi, e i crocifissi approdarono sulle spiagge. Ma oggi le nostre seconde grandi scoperte, le scoperte che ci collocano in Europa, non si sono dimostrate migliori, ed è con dispiacere che si riscontra come il federalismo europeo – unica soluzione per il salvataggio dell’Europa, partendo dal presupposto, forse sbagliato, che il nostro sia davvero un continente unito – si sia rivelato un miraggio nel deserto. Anche queste scoperte – quelle del Portogallo in Europa, dopo quelle del Portogallo nel mondo – sono culminate nell’assenza di una visione strategica e di semi gettati nella terra, con la delocalizzazione delle fabbriche, l’abbandono dell’agricoltura e della pesca e, per ultimo, l’incapacità di farci valere; cosa, questa, di cui siamo stati capaci per l’ultima volta negli anni del Rinascimento.
È accaduto questo con i popoli peninsulari, senza i quali il cuore dell’Europa crede di potersela cavare meglio. È così con Portogallo e Spagna, da questa parte dei Pirenei. È così con l’Italia, barricata al di sotto delle Alpi. Ed è così con la Grecia, adagiata all’altro capo dell’Europa, sparpagliata nella sua moltitudine di sole che sembrano sfuggirle da ogni parte. E non fa eccezione nemmeno l’Irlanda – popolo se vogliamo più peninsulare di tutti per il fatto di non essere nemmeno penisola di questa Europa che finisce col dimenticarsi di essere essa stessa penisola, penisola dell’Eurasia. E sarà forse proprio questo il quasi innominabile panico che la minaccia: il ricordo che, in fondo, i freddi barbari del nord e gli stupidi oziosi del sud siamo tutti noi, senza che nessuno lo sia per davvero. Il discorso di Antero appare attuale per diverse ragioni, ma come già egli disse a suo tempo, ciò che ci deve spaventare non è tanto l’attualità dei testi, quanto il ritardo del nostro mondo e delle nostre azioni. Non è stato il testo a mantenersi attuale; siamo stati noi a rimanere indietro. Un errore, che continuiamo pervicacemente a ripetere.
Leggi l’articolo originale su Palavras ao Poste
Articolo di Hugo Picado de Almeida

Collabora con i blog Sosteniamo Pereira e Palavras ao Poste.
Salvo accordi scritti, la collaborazione di Marco Gaviglio a questo sito è da considerarsi del tutto gratuita, volontaria e non retribuita. Questo sito non rappresenta una testata giornalistica, in quanto non ha alcuna cadenza periodica.